Parole in scena
PAROLE IN SCENA
1.
La musica guida tutte le azioni di chi è in scena.
La poesia ne determina le emozioni.
I bambini entrano in modo sincronico.
I movimenti sono liberi, man mano ci si costituisce a coppie e/o a gruppi.
Tutto deve rendere la gioia di un momento spensierato:giocare, incontrarsi, sorridere…Poi tutto diventa meccanico… Qualcosa sta cambiando…
E’ GUERRA.
In scena lo spettacolo opprimente della guerra che atterrisce e sgomenta..
Gli attori devono rendere il sentimento dello smarrimento poi la necessità di aiutare i più colpiti…che rotolano fino a costruire un cumulo…Triste..
Dopo l’immobilità del silenzio, è il momento del ricordo:
la domanda amara di Salvatore Quasimodo
E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore, Fra i morti abbandonati nelle piazze Sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.
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Un ritmo cadenzato delle mani accompagna l’eco delle parole di B. Brecht
Generale, il tuo carro armato è una macchina potente.
Spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto ha bisogno di un meccanico.
Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido di una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto ha bisogno di un carrista.
Generale, l'uomo può fare di tutto può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto può pensare.
Ora tutti occupano lo spazio: ognuno sembra cercare qualcosa, tutti sono smarriti, si guardano intorno, non c'è che vuoto e distruzione nella guerra.
Invano cerchi tra la polvere, povera mano, la città è morta. E' morta: s'è udito l'ultimo rombo sul cuore del Naviglio. E l'usignolo è caduto dall'antenna, alta sul convento, dove cantava prima del tramonto. Non scavate pozzi nei cortili: i vivi non hanno più sete. Non toccate i morti, così rossi, così gonfi: lasciateli nella terra delle loro case: la città è morta.
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Ora il ricordo arriva con una nenia, la vita è un girotondo triste...L'immagine è sempre più desolante
Le parole sono di Abdul Sidràn ne "L'incubo"
Che stai facendo figlio?
Sogno, madre mia, sogno che sto cantando e tu mi chiedi nel sogno:
che stai facendo figlio?
Cosa canti nel sogno, o figlio?
Canto, o madre mia, che avevo una casa. E adesso una casa non ce l'ho.
Questo canto madre mia.
Avevo la mia voce, o madre, e la mia lingua avevo.
E ora non ho né voce né lingua.
Con la voce che non ho, nella lingua che non ho,
della casa che non ho, io canto la mia canzone o madre.
Nato da una necessità di riflessione sui gravosi fatti dell'Iraq, tutto lo spettacolo è scandito da brani musicali che descrivono i diversi quadri in cui la guerra viene rappresentata nella sua crudezza. |
E' sempre il corpo che descrive le emozioni e le azioni di accadimenti: |
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l'incontro con il dolore ma anche con la solidarietà e la speranza; la denuncia e la necessità di riflettere sulla natura umana; la consapevolezza della forza rigenerante che alberga in ciascuno di noi e la necessità di credere sempre in un futuro migliore. |
Lo spettacolo è un omaggio ai grandi poeti del Novecento: da Quasimodo a Ungaretti a Brecht a Primo levi e a Gianni Rodari che con la sua "due domande per ridere e una sul serio" ci riporta alla leggerezza dell'infanzia e alla bellezza della vita, sorgente del nostro esistere e fonte dei nostri sogni e delle nostre aspettative. La musica, parte fondamentale per la messa in scena è frutto di una scelta di diversi brani presi da varie raccolte di Buddha Bar e da Amnesty International. |
2.
Un gabbiano Era di primo mattino, il sole appena sorto luccicava sulle scaglie del mare appena increspato.
Un gabbiano A un miglio dalla costa un peschereccio arrancava verso il largo
Un gabbiano E fu data voce allo stormo
Un gabbiano e in men che non si dica tutto lo stormo Buonappetito si adunò…
Primo Narratore Si diedero da fare ed accanirsi per beccare qualcosa da mangiare
Secondo Narratore ma lontano di là solo soletto lontano dalla costa e dalla barca
un gabbiano si stava allenando per suo conto: era il gabbiano Jonathan Livingston.
AZIONE DEL GABBIANO JONATHAN LIVINGSTON
Quattro Narratori I gabbiani non vacillano, non stallano mai. Stallare, scomporsi in
volo per loro è una vergogna è un disonore.
I gabbiani Niente da fare sei un gabbiano, la natura ti impone certi limiti.
Un gabbiano Se tu fossi fatto per volare come il vento, avresti
l’ala corta del falcone e mangeresti topi anziché pesci!
I gabbiani Torna a casa, torna presso lo stormo e accontentati di quello che sei, un povero gabbiano limitato.
Terzo Narratore La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere del volo, altro che le nozioni elementari
Quarto Narratore A quel gabbiano lì invece non importava tanto procurarsi il cibo quanto volare………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..
Terzo Narratore Al levar del sole, Jonathan era di nuovo lì che si allenava. Si sentiva vivo come non mai e fremente di gioia. Fiero di aver domato la paura.
Jonathan Livingston Quando lo sapranno, quando sapranno delle Nuove Prospettive da me aperte, impazziranno di gioia. D’ora in poi vivere qui sarà più vario e interessante…Altro che la monotonia del tran-tran quotidiano sulla scia dei battelli da pesca!...Ci solleveremo dalle tenebre dell’ignoranza, saremo liberi impareremo a volare!
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L’Anziano Il gabbiano Jonathan Livingston viene messo alla gogna e svergognato al cospetto di tutti i suoi simili!...Per la sua temeraria e irresponsabile condotta. Per essere egli venuto meno alla tradizionale dignità della Grande Famiglia Dè Gabbiani.
Affinché mediti e impari che l’incosciente temerarietà non può dare alcun frutto!....................................................................
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Il racconto che Richard Bach ha dedicato al “vero Jonathan che vive nel profondo di noi tutti”, è stato il pretesto per parlare a degli adolescenti della libertà che essi cominciano ad indagare e che spesso confondono con la mera opposizione.
Un modo per sollecitare la riflessione sull’appartenenza al gruppo che non deve diventare soggiacenza nei confronti del branco, conformismo, ricerca dell’accettazione a discapito dell’autonomia di comportamento e di giudizio. |
Al protagonista la descrizione dei tentativi di volo acrobatico attraverso coreografie costruite sulle note de “L’Estate” da “Le Quattro Stagioni” di A. Vivaldi.
Uno spettacolo corale fatto tutto da donne che esprimono la leggerezza che si fa parola attraverso l’agire del corpo nello spazio e la pesantezza del corpo che la mente incastra nei pregiudizi e nell’ignoranza attraverso la parola nella sua essenzialità. |
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Il gabbiano Jonathan Livingston non ha paura di sbagliare e si oppone all’ottusità della massa che si accontenta, egli rischia, sperimenta i propri fallimenti ma non rinuncia alla costruzione di sé. La parte narrativa del testo è affidata ai Narratori a cui è destinato il compito di portare avanti la storia e di rendere i passaggi in cui Jonathan sperimenta i propri fallimenti e poi le sue conquiste.
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La musica guida i pensieri di tutti i personaggi che si presentano come corporeità e come astrattezza che si manifesta nel sentimento vissuto in uno spazio e in tempo che il palcoscenico restituisce come metafora, assenza di limiti, perenne presente.
Le musiche sono di Deepak Copra , A. Vivaldi, Gotan Projet, Dead can dance, Pathaan, Digital Analog Band.
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3.
La scena è accompagnata da una musica che renda la potenza dell’animale e la crudeltà della vendetta di Poseidone.
Tutto deve rendere la “mostruosità” dell’immaginario collettivo rispetto al Minotauro, immaginario che sarà trasformato dalla rappresentazione dei suoi sentimenti messi in scena e vissuti da chi li osserva
La gestualità ricorda le movenze e le espressioni di un toro recalcitrante e pericoloso perché impaurito. I movimenti degli attori seguiranno un crescendo fino allo stop finale, quando il Grande Corpo Taurino sarà formato.
L’orrore è la parte migliore dell’uomo.
Quanto più il mondo ne rafforza la percezione
tanto più profondamente egli è turbato dal portento. (W.Goethe)
Entra un Narratore
NARRATORE La storia del Minotauro è un misterium tremendum, ci attira e ci respinge. Che cos’è che traspare fino a me e mi colpisce il cuore senza ferirlo? Timore e ardore mi scuotono: timore per quanto ne sono dissimile, ardore per quanto ne sono simile.
CORO Nel Minotauro infelice abitatore delle tenebre inestricabili, confinato in fondo a un irrimediabile errore…Noi che forse ci credevamo innocenti veniamo inviluppati in colpe oscuramente accumulate…In colpe oscuramente accumulate…In colpe oscuramente…
ARIANNA Però se siamo Minotauro siamo anche il vittorioso eroe solare. Anche a noi Eros ha fatto avere un lungo filo che ci condurrà fino al mostro e quando lo avremo vinto con la nostra spada lucente, quel filo ci farà tornare alla luce e lasceremo indietro, nell’oscurità eterna, il corpo ormai immobile della bestialità debellata.
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NARRATORE Pesa sul Minotauro il fato dell’innocente, dell’innocentemente crudele e insieme dell’essere incolpevole condannato dagli dei a essere crudele e insieme a essere colpito per quella crudeltà…
Grave su di lui la colpa della madre e del mondo.
MINOTAURO (con voce sporca, quasi un rantolo)
So che mi accusano di superbia e forse di pazzia.
Tali accuse sono ridicole. E’ vero che non esco mai da casa, ma è anche vero che le porte restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali… Un’altra menzogna ridicola è che io Asterione sia prigioniero…DOVRO’ RIPETERE CHE NON C’E’ UNA PORTA CHIUSA E AGGIUNGERE CHE NON C’E’ UNA SOLA SERRATURA?...
Una volta al calare del sole percorsi le strade, e se prima di notte tornai fu per il timore che m’infondevano i volti della folla… Non posso confondermi col volgo, anche se la mia modestia lo vuole…Non per nulla mia madre fu una regina…
LA VERITA’ E’ CHE SONO UNICO!
ARIANNA Lui danza la sua deformità Lei danza la sua bellezza Lui danza la gioia d’averla trovata Lei danza la paura di essere stata trovata Lui danza la sua liberazione Lei danza il suo destino Lui danza la sua smania Lei danza la sua curiosità Lui danza il suo addossarsi Lei danza la sua ripulsa Lui danza il suo penetrare Lei danza il suo avvinghiare |
Danzarono e lui non seppe di prendere la fanciulla, non poteva sapere che l’uccideva, perché non sapeva cos’era vita e cos’era morte. In lui non c’era altro che incontenibile felicità fusa con incontenibile piacere. |
CORO Paifae aveva partorito un essere ingiuria degli dei e maledizione all’uomo
Condannato a non essere dio
Né uomo
Né animale
Bensì solo Minotauro
Colpevole e incolpevole insieme
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ARIANNA (Andando incontro al Minotauro morente)
Il Minotauro ora sogna di essere un uomo, sogna un linguaggio, una fratellanza, un’amicizia.
Sogna sicurezza, amore, vicinanza, calore.
CONTRO FIGURA
DI ARIANNA E contemporaneamente sa, sognando, di essere un anormale cui non sarebbe mai stato concesso un linguaggio, mai fratellanza, mai amicizia, mai amore, mai vicinanza, mai calore.
Sogna come gli esseri umani sognano gli dei …Con tristezza d’uomo l’uomo, con tristezza d’animale il Minotauro.
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Nella notte in cui è stato celebrato quel sacrificio, il lato infernale del nostro essere piange sul corpo del mostro.
La sua morte lo innalza e lo glorifica.
Durrenmatt ci offre un Minotauro vittima della crudeltà e della limitatezza dell’uomo quindi uno spunto fondamentale per riflettere sui limiti dell’essere umano tout court: sulla meschinità di chi non sa andare oltre il rassicurante mondo del conosciuto oltre il quale ciò che appare evidente viene rifiutato, nascosto, rinnegato. |
Un pretesto per esplorare il mito da un punto di vista divergente, di conoscere una delle possibili diversità sia pure la più terrificante, inquietante, maldestra... forse una parte della nostra intima sofferenza di essere incompresi a noi stessi. Il Minotauro vive una sorta di incosciente vitalità ingabbiata nel silenzio e nelle tenebre della solitudine, lui stesso sembra rifiutare il suo destino nelle parole di Borges ma poi è costretto a soccombere.
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Ciò che egli crede il proprio redentore non è altro che il suo assassino, la fanciulla che si lascia prendere nella danza è solo frutto di un sogno e il suo dolore più grande non è quello del corpo (“Il mio corpo può avere paura io no”) ma quello dell’anima che giunge alla consapevolezza di una diversità lacerante: né uomo né animale. Il Minotauro si difende sognando di essere altro in un luogo dove possa comunicare la sua esuberante curiosità, dove possa condividere la bellezza. Ma la bellezza è solo nel suo sogno, lo slancio è soffocato dal sangue perché egli non conosce la leggerezza, la sua vita è spezzata proprio nel tentativo di afferrarla…
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Abbiamo amato molto questo Minotauro, ci ha presi per mano e ci ha imposto di ascoltarlo, di ascoltare le sue urla soffocate e di sentire nel profondo della nostra anima le suggestioni che ci ha regalato. Per tutto ciò e per molto altro gli siamo sinceramente grati.
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